Stamattina, in un’affollatissima conferenza stampa, e alle presenza dell’assessore alla cultura Perna e di alcuni importanti testimoni della cultura cittadina, da Maurizio Marchetti a Ninni Panzera, da Egidio Bernava a Giacomo Farina, si è chiuso un capitolo di una storia, di cui vi vogliamo raccontare i primi passi, quelli che ci hanno visto partecipare alla nascita di un giornale che dopo sedici anni cambierà veste. Pubblichiamo quindi in anteprima l’articolo scritto (in quanto tra i fondatori e primo direttore del periodico più longevo della città) che troverete nel numero speciale in distribuzione dalla prossima settimana.
Messina, Via Grattoni 1999: tre ventenni con una grande passione per la radio, molte idee, e naturalmente pochi soldi. Nell’ anno di nascita di Ufficio Spettacoli, la città non era poi così diversa da oggi: un solo giornale, le radio storiche (Messina Uno Special e Antenna dello Stretto) in crisi, la tv locale che aveva trovato nella Televip con Fabio Mazzeo l’unico avamposto per contrastare la storica RTP.
Io, Andrea Brancato e Luciano Fiorino eravamo in piena vitalità creativa: il successo in tv di due format come Scooter e Splash (su Televip) e la passata esperienza nelle radio, con cui avevamo iniziato la sperimentazione di fondere i due linguaggi, ci hanno dato la forza di immaginare qualcosa di nuovo per la comunicazione cittadina. Uno strumento per rispondere alla classica domanda “che si fa stasera”, che adesso possiamo invece tranquillamente digitare su google.
Ci piaceva spesso andare a Catania: quella città che Enzo Bianco nella sua prima sindacatura aveva fatto rinascere, e che a passeggiarci tra le strade chiuse del centro, nelle notti di musica e locali sempre aperti, ci faceva sentire vivi e orgogliosi di essere siciliani. A Messina il “centro storico” non esisteva ancora. Da via Cardines a Piazza Lepanto erano garagisti e officine ad occupare molti di quei locali, che adesso ci sembra siano sempre stati li. Ed una delle cose che ci piaceva “afferrare” (un po’ come si fa adesso con le matitine di Ikea) era LAPIS, un pieghevole in bianco e nero che sembrava un manifesto: la testimonianza inequivocabile che i nostri coetanei etnei sapevano come divertirsi, socializzare, promuovere musica e cultura.
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